Il 25 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999. Questa ricorrenza è dedicata a sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere azioni concrete per combattere la violenza di genere, un fenomeno diffuso che colpisce milioni di donne e ragazze in ogni angolo del pianeta.
Ogni anno, la violenza
contro le donne continua a lasciare una scia di sangue e dolore. Nel 2024, in
Italia, sono già oltre 90 i femminicidi registrati, tragedie che si consumano
spesso tra le mura domestiche, in contesti di relazione affettiva o familiare.
Più del 75% delle vittime sono state uccise da partner o ex partner,
confermando il drammatico legame tra violenza e amore.
Dietro i numeri ci sono
volti e storie strazianti, fra le storie più conosciute troviamo quella di
Giulia Tramontano o quella di Giulia Cecchettin, ma ci sono tantissime vittime
che purtroppo finiscono nel dimenticatoio ma che anche loro meritano di
ricevere tutto il rispetto possibile, come quella di Serenella Mugnai, 72 anni,
uccisa dal marito ottantenne nella provincia di Roma; o di Giada Zanola, 34
anni, spinta dal compagno dal cavalcavia di Vigonza, lasciando orfano un
bambino di tre anni. E ancora, Manuela Petrangeli, 50 anni, uccisa a Roma a
pochi passi dal suo lavoro da un ex che non accettava la separazione.
La questione della
violenza sulle donne mi tocca profondamente. Ogni volta che leggo una notizia
su un femminicidio, provo un misto di rabbia e impotenza: rabbia verso una
società che, nonostante i progressi, non riesce a prevenire questi crimini, e
impotenza nel sapere che dietro a ogni nome si nasconde una vita spezzata, una
famiglia distrutta. È inconcepibile che, ancora oggi, il luogo in cui una donna
dovrebbe sentirsi più sicura la sua casa si trasformi in un teatro di morte.
Queste storie sono un pugno allo stomaco. Penso a Rosa, a Serenella, a Giada e
a tutte le altre: sono simboli di una tragedia che va ben oltre la statistica.
Sono l’emblema di un fallimento culturale, dove il possesso viene confuso con
l’amore, dove la violenza è la risposta a ogni forma di rifiuto. Mi colpisce
particolarmente sapere che molte vittime sono donne anziane, uccise dopo anni
di vita con un partner che, a un certo punto, ha deciso di farsi carnefice. Non
si può restare indifferenti. Questa violenza è il sintomo di una società ancora
lontana dal rispetto e dalla parità. Credo fermamente che ognuno di noi abbia
una responsabilità: educare gli altri all’empatia e al rispetto, sostenere le
vittime senza giudizio, e denunciare ogni segnale di abuso.
È un impegno collettivo
che va ben oltre le leggi e le politiche, è una questione di umanità.
Silvia Cava 4°
Classico
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